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Naufragio e salvataggio PDF Stampa E-mail
Scritto da Wendy   
giovedì 25 gennaio 2007
naufragioIn questi giorni si parla tabto della nave "Napoli", preda della tempesta violenta nel Canale della Manica.

Il nome si porta dentro tutti i guai di questa tormentata città, ma la nave non è italiana, di italiano ha solo il nome, che dovrebbe essere solare.

Invece è incappata in quel disastro che abbiamo seguito in TV.

Questo fatto mi ha riportato alla memoria quando eravamo in porto a Mombasa - Kenya, e venne l'ordine di recuperare una nave, o almeno il carico di quella carretta del mare, portacontainer, che dall'India trasportava merci varie in Sud Africa.

Una nave greca battente bandiera panamense si era incagliata su uno scoglio, un grosso scoglio, diciamo un isolotto, che emergeva dal pelo dell'acqua solo con la bassa marea, e la nave greca, nel momento sbagliato, c'era andata sopra -mare piatto- ed era rimasta lì, comodamente seduta.

Noi, del soccorso marittimo, si poteva avvicinarla solo con l'alta marea, con un landcraft, un vecchio mezzo da sbarco che forse aveva avuto ben più onorevole impiego in Normandia.

Che spettacolo, un'acqua così limpida si può solo sognare. Pesci di ogni tipo guizzavano felici dentro e fuori i coralli, da restare estasiati.

Dunque, si aspettava l'alta marea, altro evento da seguire col cuore traboccante come davanti ad una nascita, e ti domandavi "proprio a me càpita una cosa simile": centimetro a centimetro, sale sale, un metro ancora ancora, e Latham Island emerge superba, guardandosi intorno stupita come la Venere bellissima, ed immediatamente conquistata da una miriade inimmaginabile di gabbiani gracchianti, festosi della ritrovata terra, casa.

Rivedo le scene di allora, guardando in TV quell'arraffare della gente che prende tutto quanto il mare butta a riva.

Una pacchia per Robinson Crusoe, ma anche per quegli abitanti, che oltre la la nefasta marea nera si sono ritrovati con le cose più disparate a portata di mano.

Le autorità invitano a restituire quelle cose "spiaggiate", non è "res nullius", dicono, c'è un proprietario, i noleggiatori, le assicurazioni.

Potete star sicuri, le assicurazioni l'avranno vinta. Quella volta a Latham Island il caso era diverso: tutto l'equipaggio, col comandante, aveva -sua sponte- abbandonato la nave tranquillamente con le scialuppe di salvataggio di bordo, e di loro si erano perse le tracce, almeno così si diceva.

Si dicevano tante cose, ma ormai... acqua passata. Ricordo che, aperte le stive ed i container, era come entrare nella grotta di Ali Babà: c'era di tutto, tappeti, un'infinità di palloni da calcio, pentole, mazze da baseball, racchette da tennis e relative palle, servizi da tè e non so quanto ancora.

Si caricava e si portava nei magazzini in porto, e via così finchè venne l'ordine di fermare tutto: parte del carico, che non figurava ufficialmente nelle bolle di carico, era top secret, materiale strategico.

Ed il nostro salvataggio fu sospeso d'un tratto e passò ad altre mani. Chissà com'è finita.

Guardo le immagini del cargo piegato di lato, poi spezzato in due: mi si stringe il cuore, bisogna viverla sulla propria pelle una tempesta in mare, quando le onde sono tanto alte che ti passano sopra, la prua va giù con affanno e non sai se riemergerà.

Rivedi la luce e aspetti la prossima, in silenzio totale.

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